giovedì 12 aprile 2018

SCACCHIERA


ROBIE HOUSE – WRIGHT
Wright nasce nel 1867 nel Wisconsin. Nel 1876 vede per la prima volta i giochi fröbeliani durante l’esposizione per il centenario di Philadelphia. Ero cartoni e volumi colorati che potevano essere combinati in infiniti modi sia bidimensionalmente che tridimensionalmente. Wright stesso, parlando di questi giochi disse: “i lisci triangoli di cartone e i levigati blocchetti di acero restarono impressi nella mia memoria infantile e costituirono un’esperienza indimenticabile.” Infatti, Wright nella sua progettazione assume una griglia spaziale con la quale, giocando, egli crea gli ambienti e il rapporto dell’edificio con l’intorno.
Altro imprinting dell’architetto è senz’altro la prateria del Midwest in cui ha passato la sua infanzia. La valle, l’orizzonte infinito, le tessiture degli aratri sulle pianure e la tranquillità e l’armonia di quegli spazi diventano i punti chiave della sua architettura. La griglia per Wright diventa uno strumento di libertà attraverso il quale rappresentare un’architettura che non è più rinchiusa in una scatola, ma vive in simbiosi con ciò che la circonda.
I progetti di Wright possono essere suddivisi in 4 grandi fasi, di cui la prima è quella delle Prairie Houses (case nella prateria), che va dal 1900 al 1911 circa. Nel 1908, in un numero di Architectural Record, Wright scrive: “Noi del Midwest viviamo nella Prairie. La Prairie possiede una bellezza che è la propria. Dobbiamo capire e accentuare questa bellezza naturale, questa distesa tranquilla.” Ecco perché in queste architetture ritroviamo come elemnti fissi tetti bassi, con una leggera pendenza, costruzioni basse e i muri che prolungano le case, circondando i giardini privati. Nella sua Autobiografia afferma che amava “istintivamente la Prairie, per la sua grande semplicità – gli alberi, i fiori, il cielo stesso, formavano un contrasto affascinante. Mi resi conto che nella Prairie il più modesto rilievo sembrava alto – ogni particolare acquistava verticalità, le ampiezze si riducevano. Ebbi l’idea che i piani orizzontali negli edifici appartenessero al terreno. Cominciai a mettere in pratica quest’idea.” E sono proprio questi pochi “principi” che egli utilizza nel progettare le case nella prateria. Altra novità, che si svilupperà poi nelle architetture successive è la “pianta aperta” con grandi spazi continui articolati da artifici architettonici, anziché divisori o porte. Altra novità era il rispetto e l’amore che Wright aveva per la natura, egli, infatti, riteneva opportuno salvaguardare la distesa lunga e piatta della prateria, lasciata alla sua semplicità originaria in periferia, costruendo un livello superiore da cui era possibile ammirarla in tutto il suo splendore.

Giochi di Fröbel


Robie House 


Studio dell'impianto 


Bang!

giovedì 5 aprile 2018

IMPRINTING


Il mio imprinting l’ho avuto nell’età dell’infanzia. Quando avevo 4, 5 anni, ho vissuto in campagna con mia nonna. Ho sempre pensato che nella zona in cui ho casa in Romania non ci fosse nulla di particolare, un fiume che attraversa un’immensa pianura caratterizzata principalmente da colture miste e, ogni tanto, qualche distesa boscosa. Mi è sempre sembrato tutto piatto, orizzontale e privo di attrattiva. Abituata sin da piccola a questo tipo di paesaggio, non ho mai dato troppa importanza a ciò che mi stava attorno, né ho mai cercato di leggere con più attenzione quello che mi circondava. O almeno così è stato finché non sono venuta a vivere in Italia. Da allora, ogni anno che tornavo a casa, guardavo il paesaggio e la mia città con occhi diversi, inizialmente con gli occhi nostalgici di chi vive lontano da casa e successivamente con gli occhi curiosi di chi, anno dopo anno, riscopre la propria terra. Proprio in questa fase, un bel pomeriggio estivo, ero in campagna, dove ho vissuto alcuni anni della mia vita, e, camminando in mezzo ai campi mi accorgo di una cosa ai miei occhi stupefacente. Sin da piccola, quando mi portavano al paesino dove vivevo con mia nonna, lungo la strada osservavo dal finestrino i campi, non riuscendo mai a vedere il paesino, che appariva magicamente davanti ai miei occhi, così, di punto in bianco, e poi, così come era apparso, scompariva ogni volta che andavo via. Ogni volta cercavo di capire il trucchetto ed ogni volta mi sorprendevo di questa meravigliosa “magia” che avveniva sotto i miei occhi da bambina. Era come se quel piccolo villaggio, pieno di vita, fosse coperto da una strana teca che lo nascondeva al resto del mondo, quasi a proteggerlo. Ecco, quel pomeriggio, mi sono resa conto della magia: il paesino si è sviluppato all’interno di un avvallamento. Quest’enorme pianura è interrotta da questo avvallamento e da sopra è impercettibile la presenza dell’intero paesino, che si è sviluppato longitudinalmente all’interno di questo spazio. Al di fuori dell’avvallamento lo spazio antropico rimane intatto, l’orizzonte è libero a 360° e a pochi passi c’è la vita costruita dall’uomo, nascosta e protetta dalla propria terra e che allo stesso tempo cerca di rispettare, senza andare ad intaccare, questo orizzonte infinito, che difficilmente si riuscirebbe a trovare altrove. Non mi ero mai accorta di come questo posto a me tanto caro mi avesse influenzato, ma durante la lezione sull’imprinting mi è bastato un attimo, senza alcuna esitazione, a capire che quello è stato il mio imprinting. La predilezione verso un paesaggio antropico quasi intatto, verso orizzonti liberi ed infiniti ne è la prova. Inoltre, altra caratteristica che sono solita amare nelle architetture e che cerco, quando è possibile, di inserire nei miei progetti è la frammentarietà, l’isolato, il singolo. In Romania, infatti, prevalgono due tipi di abitazioni: i grandi palazzi multi piano e le case unifamiliari ad uno o due livelli al massimo, dove io ho vissuto. Questa cosa mi è rimasta ancor di più in mente dal paesino di campagna, dove c’erano tutte case monofamiliari con un unico livello.

Caratteristiche: orizzonale, nascosto, frammentato

SCHIZZI 



SCELTA DELLE TRE AREE

Storia del quartiere

Nel XIV secolo la famiglia Boccamazzi costruì il proprio casale nella zona, proprio vicino alla torre in laterizio del XIII secolo situata tra via Collatina e via Prenestina. Il 15 agosto 1457 venne acquistato dal cardinale Capranica che lo affidò agli studenti perugini del Collegio di San Girolamo, che rinominarono il posto “Sapienza nuova”, da cui deriva il nome stesso del quartiere, “Tor Sapienza”.
Il vero e proprio centro urbano si formò negli anni venti quando il ferroviere Michele Testa realizzò prima 25 abitazioni economiche e successivamente ne costruì altre 100. Il 20 maggio 1923 veniva inaugurata la borgata di “Tor Sapienza”. Durante la seconda guerra mondiale la torre fu utilizzata dall’esercito tedesco come deposito di munizioni e venne fatta esplodere al momento della ritirata, causando il crollo della torre centrale e di numerose gallerie sotterranee. Alla fine degli anni novanta, grazie all’Accademia delle Belle Arti e al suo nuovo proprietario, la torre venne completamente ristrutturata.
Il 6 febbraio 1941 viene emanata la legge n. 346, Norme per la creazione e per l’esercizio della nuova zona industriale di Roma, e Tor Sapienza viene scelta come la più adatta per l’avvio di questa nuova zona industriale. Negli anni ’80 il quartiere entra in un processo di deindustrializzazione che ancora oggi va avanti.


AREA 25








































Diagramma solare area 25

AREA 67

Diagramma solare area 67


Diagramma solare 63